Ripartire dalle proprie origini


In Italia ci sono storie di avventure straordinarie, intraprese da figure visionarie che hanno saputo guardare al futuro con lungimiranza e con estrema positività. Spesso si parla del sogno americano come la possibilità di rendere reale e tangibile una propria idea o visione progettuale. Un sogno che non per forza deve avvenire fuori dai confini territoriali ma che anzi, a volte, ha proprio nelle specificità e nelle caratteristiche nazionali le chiavi di svolta di tale impresa. Sono numerose le persone che hanno saputo adattare il fertile terreno italiano in occasioni vincenti ed uniche, così da creare eventi incomparabili basati sulla condivisione del sapere e della conoscenza. Sono esperienze legate ad un passato prossimo, ad un tempo non troppo differente da quello quotidiano e per questo motivo sono storie simbolo di luce e di positività, soprattutto di questo periodo, al fine di rinascere dalle buie tenebre di questi tempi. 

Queste storie sono accomunate da una componente basilare: l’idea di analizzare e sfruttare l’arte come fulcro comunicativo utile alla comprensione dell’attuale società. Il sapere e la conoscenza passano attraverso un fare creativo che debba essere al passo coi tempi e che risponda a reali esigenze imposte dalla società. Una società forse ignara delle potenzialità che il fare creativo può riscuotere nell’animo umano al fine di renderlo più vivo e vibrante. 

Un esempio? Il Piccolo teatro di Milano, luogo nevralgico della diffusione di un’arte performativa rivolta a tutti, nessuno escluso, questo era la slogan che accompagnava la nascita del Piccolo e che ben ne incarna la sua mission principale. Gli spettacoli messi in scena, nel periodo dei suoi esordi, non erano rivolti ad un pubblico di settore, di una nicchia, così da riscuotere consenso pubblico ed economico, viceversa si trattava di un teatro per tutti. Una scelta fondamentale fu quella di mantenere basso il costo del biglietto favorendo agevolazioni scontistiche qualora vi fossero presentati dei gruppi. Secondo Paolo Grassi, dirigente, a partire dal 1947, insieme a Giorgio Strehler, sosteneva che il popolo rimaneva fuori dai teatri non per ragioni culturali bensì per motivi economici. Di conseguenza fu lungimirante e controtendenza la scelta portata avanti dai due neo dirigenti del Piccolo, desiderosi di parlare di attualità ad un pubblico il più ampio possibile. 

Un sogno visionario quello di rendere l’arte performativa accessibile a tutti, un atto di lungimiranza che ha oggi il suo peggior riscontro in quanto si parla di arte di élite, riferendosi all’arte contemporanea. Un’operazione comunicativa in netta contro tendenza rispetto agli insegnamenti del passato, come sottolineato dall’esempio del Piccolo di Milano. Un esempio esemplificativo di numerose operazioni culturali di stampo italiano, rivolte non a pochi bensì a molti, dunque rivolta al popolo, aperta ed accessibile a chiunque senza alcuna differenza di classe sociale. Un’idea e una caratteristica che abbiamo perso in passato e, soprattutto, in questa fase acuta di chiusura, non solo fisica ma anche mentale. Dunque da dove ripartire? Da i numerosi tasselli inclusivi che il fare creativo italiano ha sviluppato nel corso dei secoli, al fine di innalzare il livello sociale e culturale nazionale. 




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